mercoledì 23 dicembre 2015

IL MISTERO DELLA DONNA DECAPITATA, IL CASO DI ANTONIETTA LONGO

Antonietta Longo
Questo è orrore vero e proprio, questa è una storia violenta e macabra che ha sconvolto l'Italia dell'epoca dove, un assassino rimasto ignoto per sessant'anni non ha avuto nessuna pietà per la sua vittima, questa è la storia di Antonietta Longo.
Era il 10 luglio del 1955, la televisione in Italia era presente da poco e la capitale si era svuotata per le vacanze estive; a Castelgandolfo due amici Antonio Solazzi di professione meccanico e Luigi Barboni sagrestano, decisero di fare un gita al lago Albano, si recarono verso le tre del pomeriggio al ristorante "La culla del Lago" dove presero un barca a remi a noleggio, dopo di che si diressero verso la riva di Acqua Acetosa. Dopo qualche centinaio di metri di colpi di remo, Solazzi avvertì un bisogno fisiologico e attraccò alla riva, scese dalla barca e si diresse verso un punto appartato, quando la sua attenzione fu catturata da qualcosa di strano ed allo stesso tempo di raccapricciante: il corpo completamente nudo di una donna che giaceva a terra con un foglio di giornale sul tronco, ma l'uomo guardando ancora più da vicino si accorse che al corpo mancava la testa. Antonio inorridito corse ad avvisare subito l'amico e i due presi dal panico scapparono via, tanta fu la paura e l'angoscia che i due amici avvisarono le autorità solo il 12 luglio vale a dire due giorno dopo il ritrovamento. Di chi era quel cadavere? Chi era quella donna?
Gli inquirenti avviarono subito le indagini sotto il comando del capo della omicidi Ugo Macera, all'esame medico che fu effettuato dal professor Antonio Carella il cadavere, oltre che ad essere stato decapitato presentava numerose ferite da arma da taglio sul ventre e sulla schiena, ma il particolare più macabro ed agghiacciante fu che alla donna le furono asportate le ovaie con un procedimento da chirurgo, successivamente dopo altre accurate analisi risultò invece un metodo definito "da macellaio" Il luogo del ritrovamento inoltre dette la piena certezza che la donna fu uccisa esattamente nel posto in cui fu ritrovata, lo testimoniava la grande quantità di sangue che aveva intriso il terreno. Gli investigatori si concentrarono su un orologio marca Zeus che era al polso della donna che risultò essere stato prodotto solo in centocinquanta esemplari e sulla pagina del giornale che risultò essere una copia del Messaggero trovato sul corpo che riportava la data del 5 luglio. Inoltre presero in analisi tutte le segnalazioni di donne scomparse in quell'arco di tempo e il risultato portò due nomi Anna Maria Brasca moglie di un pugile e Antonietta Longo una cameriera che prestava servizio nell'abitazione di un medico della capitale. La prima donna fu rintracciata e quindi esclusa, la vittima quindi non poteva essere altro che Antonella Longo. Per essere ancora più precisi e sicuri sull'identità della vittima, gli inquirenti rintracciarono e fecero arrivare dal paese di Mascalucia in provincia di Catania per il riconoscimento del corpo due donne, Grazia e Concettina Longo possibili sorelle della vittima; non vi furono dubbi, le due donne durante la fase del riconoscimento accertarono da due particolari: i mignoli delle mani sporgenti verso l'esterno ed il quarto dito dei piedi più lungho degli altri, che quel corpo straziato era della sorella, successivamente anche quell'orologio trovato sul polso della vittima diede ulteriore conferma sull'identità della donna segnalando che era un regalo che il nipote Orazio Reina le fece. Ma chi era esattamente Antonella Longo?
Un momento della ricerca nel lago della testa di Antonietta
Antonietta era una ragazza del paese di Mascalucia, un paese ai piedi dell'Etna dove era nata il 25 luglio 1925, figlia di artigiani rimasta orfana all'età di tre anni andò a vivere con le sorelle Grazia e Concettina ma viste le condizioni economiche precarie della famiglia Antonietta fu messa in un convento dove visse per degli anni. Quando abbandonò l' istituto ormai donna decise di cercare una vita migliore altrove; decise così di andare nella capitale dove avrebbe lavorato come cameriera presso la famiglia di un medico il dottor Gasparri.
Le indagini furono rivolte a far luce sull'esistenza della  donna ed alla ricostruzione degli ultimi giorni di vita della stessa; sappiamo infatti che la vittima qualche mese prima della scomparsa ritirò tutti i suoi risparmi pari a 331.000 lire che all'epoca erano un ingente somma di denaro e la depositò in una cassetta di sicurezza nella stazione ferroviaria di Roma Termini dove, furono ritrovate anche due valige con all'interno biancheria intima ed un corredo matrimoniale, ma non la somma di denaro, dove era finita? Successivamente la cameriera chiese alla famiglia datrice di lavoro un mese di ferie. Fu vista il giorno 1 luglio lasciare la sua abitazione verso le ore 22.00 e questo, suscitò l'attenzione del portiere del palazzo perché era un ora abbastanza insolita per Antonietta. Aveva acquistato un biglietto del treno per andare al suo paese di origine ma, invece di partire soggiornò in una pensione della capitale.
Fu ritrovata una lettera che la donna aveva scritto e spedito in data 5 luglio alla sua famiglia, nella quale sosteneva di aver conosciuto un uomo di qui era molto innamorata e corrisposta e che di li a breve si sarebbe sposata ( tra poche ore sarò sua ), inoltre sperava di dare la gioia di un nipotino ai suoi fratelli, ma chi era quell'uomo?  Poteva la donna tenere nascosto qualcosa ai suoi cari?  Quale poteva essere la causa scatenante di un omicidio così efferato? Per gli inquirenti il movente doveva essere cercato nella vita di Antonietta, che a loro dire aveva delle zone d'ombra. Le indagini frugarono nel privato della donna e portarono all'individuazione del suo probabile fidanzato, un uomo di nome Antonio, ma da numerosi controlli e interrogatori non emerse niente di rilevante e l'individuo fu messo da parte. Il caso di Antonietta Longo arrivato ad un punto morto, fu archiviato lasciando molti quesiti e supposizioni che ancora oggi sono presenti. Forse una gravidanza nascosta e poi scoperta da qualcuno che era contrario? Forse una questione di denaro? Da ricordare che la somma di denaro non fu mai trovata; il suo assassino non fu mai scoperto. Il corpo fu sepolto nel cimitero di Mascalucia suo paese natale nella cappella dedicata a San Vito e San Nicola di Bari. La storia consegnerà alla povera Antonietta il fatto di essere ricordata dalla cronaca nera come "La decapitata del lago di Bracciano" dove, probabilmente ancora oggi da qualche parte potrebbe trovarsi la sua testa.


mercoledì 2 dicembre 2015

IL MISTERO DEL POZZO, IL CASO DI ANNA MARIA "ANNARELLA" BRACCI

Anna Maria "Annarella" Bracci
Ci sono storie che vengono ricordate con orrore, storie che riescono a inorridire più di una generazione e che vengono tramandate come leggende del terrore, che rimangono impresse nella mente e che cerchiamo di accantonare in un angolo buio di essa perché, solo a pensarci i brividi corrono lungo la schiena come una locomotiva sulle rotaie. Questa è una storia di violenza, sogni premonitori, stranezze e lunghi silenzi, una storia che ha segnato la capitale e l'Italia dell'immediato dopo guerra, questa è la storia di Anna Maria Bracci.
Anna Maria Bracci era una ragazzina di dodici anni che abitava con la madre Marta Fiocchi separata dal marito e numerosi fratelli, nell'impervio e degradato quartiere di Primavalle a Roma, esattamente in via Lorenzo Litta lotto 25 scala L, era nata il 15 dicembre del 1937, cresciuta troppo in fretta a causa del contesto sociale in cui si era trovata a vivere, sembrava infatti più grande delle ragazzine della sua età. Aveva i capelli e gli occhi neri, era ubbidiente e aiutava la madre nei lavori domestici; un giorno esattamente il 18 febbraio 1950 sabato grasso, la madre la mandò a comprare del carbone e a prendere una bottiglia di olio dalla vicina di casa, ma non fece mai più ritorno. Nessuno la vide più, sembrava essere svanita nel nulla e come se non bastasse le ricerche iniziarono tardivamente, gli inquirenti si mobilitarono in lungo e in largo solo dopo che gli abitanti del quartiere protestarono in maniera sostenuta. Il 3 marzo 1950 in fondo ad un pozzo di via Torrevecchia vicino alla Pineta Sacchetti in aperta campagna fu trovato il corpo della povera ragazzina, senza gonna ne mutandine; il corpo presentava una profonda ferita alla testa inferta da una arma da taglio che fu cercata invano nel pozzo e nei dintorni, inoltre furono individuati segni di una tentata violenza sessuale. Un particolare che rese questo delitto ancora più agghiacciante fu, che i medici che effettuarono l'autopsia accertarono che Anna Maria cercò di difendersi e che venne picchiata, colpita alla testa, gettata nel pozzo ancora viva creduta morta dal suo aggressore e che probabilmente morì in un secondo tempo annegata nelle gelide acque. Le indagini iniziarono con un fatto quantomeno singolare, riguardante il nonno della giovane perché fu proprio lui a guidare polizia e carabinieri sul luogo del ritrovamento, raccontando di avere visto il pozzo in un sogno e di sapere che la nipote si trovava lì sul fondo; questa strana e macabra testimonianza gli fece intascare la somma di trecentomila lire che a quel tempo erano molti soldi, messa a disposizione dal barone di origini pugliesi Melodia, per chiunque avesse fornito notizie utili e attendibili agli inquirenti, ma tale fatto causò anche l'immediato inserimento del nonno nel registro degli indagati. Poco dopo, le indagini presero una svolta quando qualcuno parlò e rivelò che la ragazzina era stata vista il giorno della scomparsa seduta su un muretto, che mangiava delle castagne in compagnia di un uomo di nome Lionello Egidi. Ma chi era costui?
Il pozzo dove fu ritrovato il corpo di "Annarella"
Lionello Egidi era un amico della famiglia di Anna Maria, era sposato con due figli e di professione faceva il giardiniere, non solo qualche volta quando c'era bisogno aiutava la madre della ragazzina. Lionello venne quindi preso in custodia e condotto in carcere dove rimase per sette giorni.
Stando al racconto che rilasciò Egidi, furono giorni d'inferno, fu picchiato selvaggiamente al punto da renderlo irriconoscibile anche alla propria famiglia, successivamente al giudice raccontò di aver confessato l'omicidio di Anna Maria perché altrimenti le percosse a suo carico da parte degli inquirenti non sarebbero terminate. Il 18 gennaio 1952 il giardiniere venne assolto, ma poco dopo durante una festa sull'Appia Antica, Egidi molestò una giovane e fu condannato a tre anni e mezzo di carcere. Nel 1955 ebbe luogo il secondo grado del processo per la piccola Annamaria nel quale Lionello fu dichiarato colpevole e condannato a ventisei anni e otto mesi di reclusione. Sembrava che finalmente il responsabile dell'omicidio di Anna Maria fosse stato assicurato alla giustizia, ma arrivò un altro colpo di scena: il momento della Cassazione, che si limitò soltanto a controllare se tutte le fasi dell'intero processo fossero state svolte senza errori, stabilendo inoltre che la condanna arrivò anche dall'influenza negativa derivante dalle molestie perpetuate dal giardiniere sulla ragazzina dell'Appia Antica, assolvendo così definitivamente l'imputato il 14 dicembre 1957. Lionello Egidi tornò in libertà tra i commenti al veleno di chi lo considerava colpevole e difeso invece da chi lo reputava innocente, fatto sta che pochi anni dopo nel 1961 il giardiniere vide di nuovo le porte del carcere spalancarsi per restavi altri cinque anni a causa di molestie, questa volta su un ragazzino.
Il caso di "Annarella" quindi rimase irrisolto, la povera adolescente oggi riposa da quel triste giorno nel cimitero del Verano nella cappella di Raniero Marsili dove, sulla facciata è stata appesa una targa che la ricorda come vittima della perversione umana. All'epoca lo stesso funerale, fu celebrato in maniera tale da rimanere ben impresso nella vita sociale del tempo, gli stessi funzionari del comune insieme alle alte cariche della polizia e a più di centomila persone accompagnarono il feretro trasportato da un cocchio bianco trainato da quattro grandi cavalli anch'essi bianchi, il tutto pagato dall'amministrazione comunale di Roma. Nel quartiere di Primavalle è stato creato un parco giochi per bambini che porta il suo nome, a dimostrazione del ricordo indelebile per le generazioni presenti e future di una giovane rimasta vittima di una losca figura che forse non ha mai pagato per il male inflitto a lei, alla sua famiglia e alla comunità intera rimasta inorridita da quanto accaduto.
Il cocchio con il feretro di  Anna Maria Bracci
Il corteo Funebre
Lionello Egidi

giovedì 26 novembre 2015

IL MISTERO DEL BOSCO DI ARCE, IL CASO DI SERENA MOLLICONE

Serena Mollicone
Questa è una storia brutta, segnata da depistaggi, omertà e fatti strani, che hanno contribuito a renderla ancora più intrigata e ambigua. Questa è la storia di una ragazza di appena diciotto anni che scompare in circostanze misteriose e ritrovata due giorni dopo in un bosco, ormai cadavere; questa è la storia di Serena Mollicone. Siamo ad Arce, un piccolo paese del frusinate, è il 1 giugno del 2001, quando Serena esce di casa per andare ad una visita medica dentistica, una ortopanoramica all'ospedale di isola del Liri fissata per la 9:50. La ragazza arriva all'ospedale esegue la visita e dopo torna indietro verso casa, dove non arriverà mai, perché da qui se ne perdono le tracce. Quel pomeriggio la ragazza aveva un appuntamento con il suo fidanzato Michele Fioretti il quale, non vedendola arrivare preoccupato allerta il padre di Serena Guglielmo. I due uomini cominciano a cercare invano la ragazza e arrivati alla sera il padre della ragazza si dirige dai carabinieri per denunciarne la scomparsa. Iniziano le ricerche da parte di famiglia, cittadini ed inquirenti, usufruendo anche di volantini con la foto della ragazza appesi a pali e pareti. Trascorrono due giorni di tormento ed apprensione, quando a mezzogiorno del secondo giorno di ricerche succede qualcosa: in un piccolo bosco di Fontecupa in località Anitrella a pochi chilometri da Arce, una squadra di volontari della protezione civile trova il cadavere della ragazza. Il ritrovamento viene definito macabro ed agghiacciante; il corpo giace sull'erba supino, con le braccia legate con il nastro adesivo e filo di ferro dietro la schiena, le gambe sono legate anch'esse con il nastro adesivo e filo di ferro all'altezza delle caviglie ed infine la testa è avvolta da una busta della spesa. Intorno al luogo del ritrovamento ci sono sparsi i libri della giovane, mentre risultano spariti lo zaino il portafogli ed un mazzo di chiavi. Effettuati i dovuti rilievi sul corpo della ragazza, viene eseguita l'autopsia presso l'ospedale di Sora. La perizia medico legale stabilisce che ad uccidere la povera ragazza dopo ore di agonia e sofferenze è stata l'asfissia, inoltre sulla testa di Serena c'è una ferita che indica un forte colpo. Chi ha ucciso Serena? Perché? Quale è il movente di questo barbaro omicidio?
Le indagini partono a trecentosessanta gradi e fin da subito accadono eventi strani, come quello del cellulare della ragazza che viene ritrovato in circostanze inspiegabili in un cassetto della camera di Serena quando, il padre lo aveva consegnato agli inquirenti, infatti durante la funzione funebre il maresciallo della stazione dei carabinieri del posto Franco Mottola preleva il padre della ragazza Guglielmo Mollicone portandolo via, successivamente si saprà che è stato un atto dovuto per una forma burocratica quantomeno insolita delle indagini. Può essere definito un depistaggio? I sospetti successivamente ricadono su un carrozziere del posto Carmine Belli che il 6 febbraio 2003 viene arrestato. Le prove a suo carico sono: il ritrovamento dello stesso tipo di nastro adesivo servito a legare Serena in una vecchia casa di proprietà del sospettato e la ricevuta della ortopanoramica effettuata quella mattina, rinvenuta dentro un cestino dell'officina dove lavorava. L'ipotesi è che Belli avesse dato un passaggio alla ragazza, i due fossero andati verso il bosco di Fontecupa e davanti ad un rifiuto della ragazza, il meccanico l'avrebbe colpita, stordita ed infine imbavagliata e soffocata.
Il 14 gennaio 2004, Belli viene assolto dalla corte d'assise di Cassino presieduta dal presidente Biagio Magliocca e quindi il meccanico dopo mesi di carcere viene liberato; assoluzione che poi sarà definitivamente confermata il 6 ottobre 2006. Ma allora chi è il colpevole? Chi si è reso protagonista di questo orrendo delitto?
Le indagini procedono tra tante ipotesi e ricerche di nuove piste, ma di lì a poco succede un altro fatto starno e inquietante. C'è un brigadiere dei carabinieri che si occupa del caso, si chiama Santino Tuzzi il quale il giorno 11 aprile 2008 si uccide nella sua auto, sparandosi un colpo al petto con la Beretta di ordinanza. Perché? Perché un brigadiere si toglie la vita il quel modo? Voci dicono che Santino avesse problemi sentimentali e che quel suicidio fosse il risultato. Un attimo, aspettiamo un attimo è realmente così? Altre voci raccontano che Tuzzi avesse scoperto qualcosa di importante sul delitto di Serena, qualcosa di talmente importante e così indicibile da vedere nel suicidio l'unica soluzione. Anche la figlia del brigadiere conferma questa versione, non solo, la famiglia del militare crede fermamente che Santino sia stato minacciato da qualcuno di stare zitto e che le minacce siano state estese anche ai suoi cari. Ma cosa avrebbe visto o scoperto il brigadiere? Un fatto strano è che  Tuzzi due giorni prima di togliersi la vita, viene ascoltato come persona informata sui fatti, dichiara ai magistrati che il giorno della scomparsa, Serena Mollicone si trovava davanti alla caserma dei carabinieri, suonò il campanello e lo stesso Santino che si trova di servizio come piantone le apre la porta dopo avere avuto l'autorizzazione a farla entrare. Il brigadiere riferisce che tale autorizzazione gli fu accordata dal piano superiore dove si trovano gli alloggi del comandante di stazione maresciallo Franco Mottola dove vive con la moglie Anna ed il figlio Marco. Precisa inoltre che non sa esattamente se, quella voce che acconsente all'ingresso della ragazza sia del comandante o del figlio. Ma allora chi ha dato questa autorizzazione? Chi aspettava in quella casa Serena? Forse è in questo frangente che il brigadiere entra in contatto con la realtà che lo porterà a decidere di togliersi la vita. Girano voci che chi ha ucciso Serena, lo ha fatto per tapparle la bocca, ma a proposito di cosa? Si dice infatti che la ragazza sapesse qualcosa su un giro di droga nel quale sarebbe stato coinvolto Marco Mottola il figlio del maresciallo e che la ragazza avesse intenzione di denunciare il fatto. Un altro particolare strano, è un pacchetto di sigarette Marlboro Light che Carmine Belli dichiarò di aver visto comprare da Serena davanti alla stazione dei pullman il giorno della scomparsa; la ragazza non fumava, per chi erano quelle sigarette? Per qualcuno che in quel momento stava con lei? Altro fatto degno di nota è: il ritrovamento di licheni sulla maglia che indossava Serena identici a quelli presenti nel nuovo carcere mai aperto costruito vicino alla stazione dei carabinieri di Arce, la stessa stazione dove è entrata la ragazza. A distanza di anni nel 2011 vengono inseriti nell'elenco dei sospettati l'ex maresciallo Franco Mottola, la moglie ed il figlio Marco non solo, anche il fidanzato della ragazza di allora Michele Fioretti e sua madre Rosina Partigianoni. Ad oggi le indagini sul caso, sono indirizzate sul confronto del DNA già prelevato ai sospettati sulla ricevuta della ortopanoramica, rinvenuta nell'officina di Belli. Sono passati ben quattordici anni da questo orrendo delitto e la verità sembra ancora ben nascosta, l'assassino di Serena è rimasto impunito e sempre in circolazione, portando con se il mistero di quello che è realmente accaduto in quel bosco.

mercoledì 18 novembre 2015

LO STRANO SUICIDIO DI UN CALCIATORE, IL CASO DI DONATO BERGAMINI

Donato Bergamini
Difficilmente associamo lo sport ad eventi misteriosi, probabilmente questo caso esula dalla normalità. Questa è una storia oscura, che porta con sé bugie e sulla quale sono state fatte ipotesi che non hanno mai dato un riscontro ufficiale e che hanno sempre portato a sbattere contro la falsità, la verità sembra ancora lontana. Questa è la storia di un calciatore di successo che improvvisamente muore in circostanze misteriose, questa è la storia di Donato Bergamini.
Donato detto Denis aveva ventisette anni era nato ad Argenta ed era un calciatore, un centrocampista del Cosenza squadra del campionato di serie B, prima aveva giocato con la maglia dell'Imola e del Russi. La notte del 18 novembre 1989 il suo corpo venne ritrovato sull'asfalto bagnato della strada statale 106 Jonica nelle vicinanze di Roseto Capo Spulico sotto le ruote di un camion rosso, sul luogo era presente solo la sua ex fidanzata Isabella Internò e l'autista cinquantunenne del mezzo pesante coinvolto Raffaele Pisano. La versione raccontata dall'unica testimone e successivamente confermata da Pisano alla pattuglia dei carabinieri intervenuta sul posto, sarebbe quella del suicidio, Donato si sarebbe gettato dalla piazzola di sosta sotto le ruote del camion al suo passaggio per poi essere trascinato per una sessantina di metri sull'asfalto; perché? Quale poteva essere il motivo per giustificare il folle gesto? Secondo le dichiarazioni della ragazza, Bergamini si sarebbe suicidato a seguito del rifiuto da parte della ex fidanzata di lasciare l'Italia con lui per andare all'estero, visto che voleva chiudere con il mondo del calcio. Da subito la versione del suicidio sembrò poco credibile e alquanto fantasiosa per alcuni particolari che evidenziarono delle incongruenze. Lo stesso padre Domizio, la sera stessa del riconoscimento della salma del figlio rimase perplesso e espresse forti dubbi sulla dinamica dell'incidente e delle condizioni in cui versava il cadavere. Inoltre dopo l'incidente si venne a verificare una catena di strani eventi. Sembra infatti che già dai rilievi eseguiti sul posto dalla pattuglia dei carabinieri, vi fossero delle approssimazioni. I vestiti del povero calciatore anziché essere restituiti alla famiglia furono bruciati nell'inceneritore situato a poca distanza dall'ospedale, perché?  Poi c'era il corpo di Donato che non sembrava avere lesioni compatibili con un trascinamento come quello descritto dai testimoni e dai rilievi. Le ossa del calciatore infatti erano intatte, non risultava esserci nessuna frattura né agli arti superiori che inferiori e neppure al tronco; le uniche ferite erano una piccola abrasione sul lato sinistro della fronte ed un trauma da schiacciamento con conseguente eviscerazione sul fianco destro. Non solo, inoltre alcuni oggetti personali furono riconsegnati alla famiglia, vale a dire l'orologio, la catenina da collo e le scarpe, i quali risultarono essere presso che intatti; questo particolare risultò strano dal momento in cui un camion dal peso di varie tonnellate con le sue grandi ruote gli aveva trascinati per circa sessanta metri sull'asfalto.
L'orologio di Bergamini dopo l'incidente
L'auto di Bergamini una Maserati di colore bianco con capotta nera fu lavata subito il giorno dopo. Perché? Forse per eliminare delle prove che potessero far crollare l'ipotesi del suicidio? Giravano strane voci in quel periodo su quella macchina, come quella che servisse per il trasporto  di droga da parte di terzi, occultata in appositi sottofondi dei quali lo stesso giocatore ne ignorava l'esistenza. Un altro fatto inquietante avvenne un anno dopo il presunto suicidio; la morte di di due magazzinieri del Cosenza in un incidente stradale sullo stesso tratto di strada la 106 Jonica accaduto in circostanze ancora oggi poco chiare. I due magazzinieri secondo alcune voci riportate dall'ambiente di spogliatoio, sembravano essere a conoscenza di ciò che effettivamente era accaduto al calciatore quella tragica sera di novembre. Cosa sapevano di tanto importante? Altre ipotesi gravitavano attorno a quella morte sospetta, una tra queste era la teoria che avrebbe visto coinvolto l'ambiente del calcio scommesse. Nel 1990 fu eseguita una perizia tecnica dal prof. Francesco Maria Avato, la quale stabiliva che Bergamini era già morto al momento di essere travolto dal camion, solo in un secondo momento il corpo sarebbe stato schiacciato dalle ruote del pesante mezzo, al fine di mettere in scena un falso suicidio; questa perizia però stranamente non fu presa in considerazione e andò dimenticata, inoltre il professore non venne mai ascoltato, nè durante la fase probatoria né durante il processo nei confronti dell'autista Raffaele Pisano imputato per omicidio colposo. I giudici confermarono la tesi del suicidio e Pisano fu assolto. Oltre alla perizia del prof. Avato però, nel 2012  ne fu depositata un'altra, effettuata dal Ris di Messina che confermò quella del professore. Ma perché inscenare un suicidio? Chi avrebbe avuto interesse a fare tutto ciò? Quale sarebbe stato il movente? Una delle piste che fu seguita e tenuta in considerazione più di altre, fu quella di un delitto a sfondo passionale; infatti  nel luglio del 1987 la sua ex fidanzata Isabella aveva abortito appena dopo aver compiuto la maggiore età in una clinica londinese. L'anno successivo il calciatore avrebbe intrapreso dopo la fine del rapporto con la Internò una relazione con un altra donna. Il compagno di squadra Michele Padovano riferì di quanto l'ultimo giorno di vita, Donato fosse agitato e di come lasciò di fretta il luogo del ritiro del Cosenza. Quel giorno infatti, nel primo pomeriggio Bergamini ricevette una strana telefonata e successivamente si allontanò, qualcuno affermò che si dovesse incontrare proprio con Isabella Internò. Una storia questa con tanti interrogativi e lati oscuri, ma che la famiglia del calciatore ha sempre affrontato senza mai smettere di cercare la verità, seguita dal l'avvocato Eugenio Gallerani; facendo leva anche su alcune fotografie che annullerebbero in maniera palese l'ipotesi del suicidio: sono immagini forti che dimostrano come il corpo del giovane calciatore giaceva intatto ancora sull'asfalto bagnato e quindi sporco e con gli abiti puliti, con addirittura i calzini sempre alzati, cosa veramente impossibile dopo un incidente del genere. Nel 1994 la questura di Cosenza avviò delle indagini parallele a quella della procura di Castrovillari, perché convinta che ci fossero dei particolari importanti poco credibili. Nel 2011 l'inchiesta fu riaperta per il reato di omicidio volontario dal procuratore capo Franco Giacomantonio ed il pm  Maria Grazia Anastasia, per cercare di fare luce su sui lati oscuri della vicenda. Gli ultimi fatti, riportano una imputazione per concorso in omicidio per la ex fidanzata di Bergamini e favoreggiamento per l'autista del camion Raffaele Pisano, ma nel 2014 la procura di Castrovillari ha chiesto l'archiviazione del caso per entrambi gli imputati. Sono passati ventisei anni da quel triste giorno, troppe bugie sono state dette e troppe ombre lasciate volteggiare su questa storia che sembra essere ancora lontana dal traguardo della verità. Nessuno però ha dimenticato Denis, né i suoi tifosi che gli hanno dedicato la curva sud dello stadio di San Vito, né la famiglia che ha combattuto e tuttora combatte per sapere quello che effettivamente e successo quella maledetta sera, neppure i numerosi amici e il mondo sportivo specialmente il calcio, che lo ha fatto conoscere come un calciatore di talento e come ragazzo pieno di vita con una rosea carriera davanti a se.
La Maserati di Bergamini

venerdì 13 novembre 2015

IL MISTERO DELLA SCOMPARSA DI ALESSANDRA SANDRI

Alessandra Sandri
Questa è una brutta storia caratterizzata da torbide sfaccettature, sequestri, omicidi e occultamenti che tesse la sua tela enigmatica nell'orrendo ambiente della pedofilia, dura ormai da quaranta anni e vede protagonista una bambina  che di anni ne ha appena undici. Tutto ha inizio nella periferia di Bologna il 7 aprile 1975 quando, una ragazzina viene vista per l'ultima volta dalla madre alla fermata dell'autobus di via Farini. Ma chi è quella bambina? Quella ragazzina si chiama Alessandra Sandri, in famiglia però mamma Marisa e papa Nerio la chiamano Sandra; ha undici anni e proviene da una normale famiglia italiana. Come tutte le mattine è diretta a scuola ma li, non arriverà mai. Quel giorno Sandra viene presa ed inghiottita da un fitto mistero di cui ancora oggi sappiamo pochissimo. Girano voci, che da un pò di tempo intorno alla ragazzina si aggirino degli uomini adulti, frequentatori del bar Cuomo di via Carissimi, situato nei pressi dell'abitazione di Sandra, i quali avrebbero avuto nei suoi riguardi attenzioni particolari. Un episodio chiave, avviene circa un mese prima della scomparsa della ragazza, quando un suo vicino di casa Ignazio Parentela registra su un nastro una loro conversazione, nella quale Alessandra parla di incontri avvenuti con alcuni uomini frequentatori del bar facendo nomi e cognomi. Forse questo è il movente dell'omicidio della piccola Sandra? Qualcuno le ha voluto tappare la bocca?
Sappiamo solo, che in base a quella registrazione nel 1982 furono processati e condannati a tre anni di reclusione per molestie nei confronti della piccola due uomini: Giorgio Fragilli e Franco Mascagni.
All'epoca della scomparsa di Sandra però gli inquirenti, batterono solo la pista dell'allontanamento volontario perché imputavano alla ragazzina un atteggiamento più disinvolto della sua età; ma i genitori della piccola a questo si sono sempre definiti contrari e non si sono mai dati per vinti, accusando chi svolgeva le indagini di essere stato troppo superficiale e di non avere mai seguito la pista reale, quella che forse era legata alla pedofilia.
Difatti giravano voci che Franco Mascagni passasse molto tempo con Sandra e addirittura che i due avessero una storia. Attualmente è stata ascoltata la testimonianza di una donna all'epoca amica della ragazzina la quale riferisce, di alcune confessioni fatte da Sandra su un uomo che in macchina la portava nella zona di Pianoro. Successivamente un'altra fonte attendibile, parlava di due uomini frequentatori di un casolare nei pressi della zona di Ponticella. Nel 2010 il caso della piccola Sandra è stato riaperto dai pm Walter Giovannini e Giampiero Nascimbeni i quali, arrivano alla conclusione che probabilmente ad uccidere la piccola sarebbe stato proprio uno dei due condannati nel processo del 1982 vale a dire Franco Mascagni, morto nel 1990.
Questa storia sembra essere legata a filo diretto con un'altra scomparsa, sfociata forse in un delitto commesso probabilmente dalla stessa persona; quella di Remo Soravia Gnocco, svanito nel nulla il 28 febbraio 1979. Ma chi è costui?
Franco Mascagni
Remo è un frequentatore assiduo del bar di via Carissimi, ha una fidanzata e avrebbe testimoniato nel processo nel quale furono condannati Fragilli e Mascagni. Si dice che Gnocco sapesse quello che era effettivamente accaduto a Sandra e inoltre conoscesse personalmente il colpevole. La sua fidanzata racconta che, Remo negli ultimi periodi fosse molto nervoso, spaventato da qualcuno e che parlasse spesso della ragazzina. Testimoni riportano che, due giorni prima della scomparsa, nel corso della serata, l'uomo avrebbe avuto una discussione al bar con un altra persona informandola di essere al corrente  della vicenda e intimando di parlare dell'accaduto; dopo di che i due si sono allontanati insieme, da quel momento in poi nessuno avrebbe più visto Remo. Dopo qualche giorno sul ponte della Ponticella fu ritrovata una giacca contenente la carta di identità di Gnocco. Questa persona poteva essere il colpevole della scomparsa di Sandra? Mascagni forse? Non lo sappiamo, ma a distanza di anni la fidanzata di Gnocco che, non ha mai smesso di cercare la verità racconta di una lettera anonima, ricevuta qualche giorno dopo la scomparsa del compagno, nella quale vi era scritto di lasciare perdere le ricerche dell'uomo altrimenti sarebbe successo qualcosa di brutto ai suoi figli.
Ad oggi l'inchiesta che all'epoca dei fatti fu archiviata come probabile suicidio, sarebbe stata riaperta grazie ad una lettera anonima recapitata agli inquirenti, la quale faceva luce sulla pista dell'omicidio e che il corpo dello scomparso sarebbe stato occultato vicino al casolare in zona Ponticelli, dove qualcuno ipotizza sia stato nascosto anche quello di Sandra.
Tante ipotesi quindi su queste due storie parallele intrecciate tra loro che lasciano sempre aperti molti interrogativi su queste torbide vicende.

lunedì 9 novembre 2015

IL DELITTO DEL ROMITO, IL CASO MARCO MANDOLINI

Il maresciallo Marco Mandolini
Questa è la storia di uno strano delitto, che è caratterizzato da lati oscuri che fanno rabbrividire. Questa è la storia di un delitto rimasto in ombra, di un uomo che aveva deciso di mettere la sua carriera al servizio dello Stato.
Era la sera del 13 giugno 1995 quando, lungo la scogliera del Romito, luogo di interesse turistico conosciuto per le sue bellezze naturali, tipiche della costa tirrenica, veniva ritrovato il cadavere di un uomo. A fare la scoperta fu un bambino tedesco in vacanza con la famiglia a Livorno che, sporgendosi da una roccia della scogliera, fece il brutale ritrovamento. Furono immediatamente chiamati gli organi competenti ed al loro arrivo cominciarono
 a rilevare quanto era accaduto. Il corpo era in mezzo ad una vasta pozza di sangue, presentava numerose ferite da taglio e una frattura cranica, causata probabilmente dall'impatto con una grande pietra. Ma di chi era quel corpo? Solo dopo alcune ore si scoprì che quel cadavere così martoriato era di Marco Mandolini. Marco aveva 36 anni era nato a Numana in provincia di Ancona ed era un maresciallo del Battaglione Col Moschin, il più importante reparto dell'esercito Italiano. Era conosciuto per essere un ottimo elemento ed il suo curriculum era di tutto il rispetto: istruttore NATO, incursore paracadutista e addetto alla sicurezza di alcuni alti ufficiali di spicco, come il generale Angioni. Aveva preso parte a missioni estere come la Somalia, dove era stato a capo del gruppo addetto all' incolumità del generale Bruno Loi. Fino a qualche giorno prima era di stanza alla base tedesca di Weingarten come istruttore, poi si recò a Livorno a causa di una licenza per malattia dovuta alla necessità di effettuare alcuni controlli per una presunta epatite. Un elemento quindi, altamente addestrato e preparato per ogni tipo di situazione e di rischio, allora chi uccise Mandolini? Le indagini partirono da subito in tutte le direzioni, eseguite dai carabinieri e dalla magistratura, ma si dimostrarono tortuose come un sentiero di montagna. Quello che successe secondo gli inquirenti quel giorno, era che Marco si recò nei pressi del Romito per prendere il sole giù alla scogliera, parcheggiò la sua mercedes sulla via Aurelia e si incamminò lungo la stradina che porta al mare. Le ipotesi che furono mosse sull'omicidio erano che, chiunque avesse aggredito la vittima fosse dotato della sua stessa forza fisica e della sua stessa preparazione al combattimento corpo a corpo; ciò emerse dai rilievi dell'autopsia, condotta da i periti Bassi e Domenici, i quali affermarono che le coltellate inferte al maresciallo, erano state inferte con notevole forza utilizzando un coltello a lama larga e che quelle ferite alla testa, erano state provocate da una pietra dal peso di circa venticinque chili, quindi questo rafforzò la teoria dell' aggressore dotato di notevole forza.
Ma cosa è realmente successo quella sera del 13 giugno?
Le indagini presero diverse strade, tra cui anche quella omosessuale dato che, quel tratto di scogliera oggi come all'ora, era un punto di ritrovo per gruppi di uomini gay, questa ipotesi successivamente fu scartata in base alle testimonianze di colleghi e amici che, escludevano categoricamente questo genere di frequentazioni da parte di Marco. Un altra teoria che fu presa in considerazione ma poi abbandonata, fu quella che Mandolini potesse essere l'amante della moglie di qualche personaggio influente o quantomeno scomodo. Tra le varie ipotesi se ne fece largo anche un'altra, quella che vedeva il maresciallo così come altri suoi commilitoni, perdere alcuni investimenti fatti con una finanziaria di Alessandria, che dopo qualche tempo fallì, ma come spiega la famiglia Marco, egli era riuscito in qualche modo a recuperare gran parte del denaro perso, quindi non sembrava più essere una situazione a rischio. Un'altra tesi che rende questa morte ancora più misteriosa e intrigata sarebbe quella che, vede il maresciallo custode scomodo di eventi poco chiari, che causarono la morte della giornalista Rai Ilaria Alpi e del suo cameraman Miran Hrovatin avvenuta a Mogadiscio il 20 marzo 1994; infatti sembrava che Mandolini avesse contatti con il maresciallo Vincenzo Li Causi appartenente al Sismi (servizi segreti italiani) il quale avrebbe avuto a sua volta contatti con la giornalista deceduta.
Giravano voci che, Marco facesse parte del Sismi e che, la soluzione del caso andrebbe ricercata nella complessa morsa dei segreti di stato, capace di insabbiare tutto ciò di cui non si deve parlare. Questo omicidio quindi, acquisirebbe sempre di più le sembianze di un ennesimo giallo all'italiana, uno di quei gialli che devono rimanere tali per la comodità di qualcuno.
I componenti della famiglia di Mandolini sarebbero dello stesso avviso, in quanto affermano, che il cadavere che hanno visto durante la fase del riconoscimento e quello ritratto nelle foto dell'omicidio, non sarebbero gli stessi. I congiunti del maresciallo ricordano che, negli ultimi giorni prima del suo omicidio
Marco sembrava essere nervoso e giù di morale, in particolare il fratello racconta di una lettera che pochi giorni prima di essere assassinato doveva inviare al ministero della difesa.
Sono passati ben venti anni da quel 13 giugno 1995 e la famiglia non si è mai arresa all'idea di non scoprire la verità, quella verità che qualcuno o qualcosa di occulto sembra non voglia che salti fuori. Lo dimostrerebbero anche le telefonate anonime a scopo intimidatorio, ricevute in questi anni dai parenti del maresciallo. Perchè minacciare una famiglia che cerca la verità sulla morte del figlio? Forse Marco era a conoscenza di segreti che dovevano restare nel buio?
Mandolini era diventato un personaggio scomodo? Qualcuno ha ingaggiato un sicario con lo stesso livello di preparazione del maresciallo per eliminarlo e poi mettere in scena una aggressione facendo sembrare il tutto un' altra cosa e depistando così le indagini? Magari qualcuno di sua conoscenza, di cui Marco si fidava? Un collega? O forse l'aggressione è stata condotta da più persone? Tra le tante ipotesi, qualcuno ha azzardato il fatto che Mandolini sia stato ucciso altrove e solo successivamente trasportato sul luogo del ritrovamento.
La dinamica del delitto potrebbe far dedurre che, la vittima poteva conoscere il suo aggressore il quale con un appuntamento lo avrebbe attirato nella trappola fatale.
Queste sono le domande che attualmente, a riguardo di questo brutale omicidio tornano ad affiorare alla mente e che cercano di fare luce su una storia che rimane ancora avvolta nel mistero.
Ultimamente, nel 2013 secondo alcune fonti, la procura di Livorno avrebbe riaperto il caso, seguendo la pista del fallimento della finanziaria dove Mandolini aveva investito i suoi soldi, non solo, sembra che gli inquirenti siano in possesso di in probabile campione di DNA lasciato dall'assassino e con tale prova potrebbero fare luce su questo omicidio; intanto da quel 13 giugno 1995 sulla bella scogliera tirrenica del Romito continuano quei pittoreschi tramonti che illuminano di luce rossastra, una lapide commemorativa eretta per ricordare un uomo, un soldato, il maresciallo Marco Mandolini.
La lapide eretta in memoria  sulla scogliera del Romito





venerdì 6 novembre 2015

OMBRE IN VATICANO, IL CASO ALOIS ESTERMANN

Il comandante Alois Estermann
Questa è una storia ricca di ombre, accaduta in un luogo dove non ci aspetteremmo mai, un luogo austero che rappresenta il fulcro della religione cattolica nel mondo e che al suo interno dimora e svolge i propri incarichi il Santo Padre: il Vaticano.
Il 4 maggio 1998 nel salotto di un appartamento della curia del Vaticano, vengono rinvenuti tre cadaveri, le vittime sono: il comandante delle Guardie Svizzere Alois Estermann, la moglie venezuelana Gladys Romero e il vice-caporale Cedric Tornay.
Per chi svolge le indagini e per la Santa Sede si tratterebbe di un omicidio suicidio; il comandante e sua moglie sono stati uccisi da Tornay in uno scatto d'ira,il quale successivamente si sarebbe suicidato sparandosi un colpo in bocca, teoria che nasce dall'autopsia eseguita sul corpo del giovane Cedric che evidenziava effettivamente la fuoriuscita del proiettile dalla parte posteriore del cranio. Tale versione fu confermata pochi giorni dopo in una conferenza stampa, dal portavoce vaticano Joaquin Navarro Valls. Ma perchè? Quale movente avrebbe spinto Tornay ad uccidere il suo comandante e anche la moglie?
Secondo la ricostruzione dei fatti, il vice-caporale avrebbe avuto dei risentimenti nei confronti del comandante, perché si sarebbe visto rifiutare da quest'ultimo una onorificenza chiamata "Benemerenti", che era stata assegnata a gran parte dei suoi colleghi. Questo avrebbe fatto scattare la collera di Cedric il quale avrebbe agito conseguentemente con quel gesto. Siamo sicuri? La versione è questa?
Per trovare risposte proviamo ad approfondire bene i fatti. Inanzi tutto chi era il comandante Estermann?
Alois Estermann era un uomo di 44 anni, impeccabile, molto capace nel suo lavoro, difatti era già noto per il suo coraggioso intervento nell'attentato del 1981 contro il papa Giovanni Paolo II; egli fu uno dei primi a salire sull'auto e coprire il papa già ferito dai colpi di pistola sparati dall'attentatore Alì Agca.
Estermann fu nominato comandante delle guardie Svizzere proprio il giorno prima della sua morte. Si dice che, tra il comandante e il vice-caporale non corresse buon sangue, a causa di un atteggiamento non del tutto conforme al rigido ambiente delle Guardie Svizzere da parte di Tornay. Ma dall'interno delle spesse mura vaticane, arrivano anche altre voci su il comandante, per esempio che fosse omosessuale e che ci sarebbe stato un rapporto particolare tra lui e il vice-caporale oppure, che al contrario ci fosse un triangolo amoroso e perverso tra il comandante, il vice-caporale e la moglie. Si mormora anche che Estermann fosse una spia della Stasi, l'organizzazione di sicurezza e spionaggio della Germania dell'Est. Un altra teoria, sarebbe legata alla presenza in Vaticano di due potenti e ben distinte fazioni: quella della "Opus dei" e quella di origine massonica detta anche "Loggia Vaticana". La "Opus dei" avrebbe avuto interessi a prendere il comando totale della Guardia Svizzera mentre la "Loggia Vaticana" si sarebbe opposta con tutto il potere a contrastare questo progetto. Estermann sembrava che fosse legato alla "Opus dei" e quindi la sua nomina a comandante era vista dagli avversari in modo minaccioso. Ma l'ipotesi che rende questo caso ancora più misterioso ed inquietante, è quella di un presunto coinvolgimento del comandante nel caso di Emanuela Orlandi. Tutte voci di corridoio che si allargano come gli anelli di uno stagno quando ci gettiamo un sasso, oppure esiste un fondo di verità? Cose strane in questa storia che fanno pensare ad alcuni depistaggi ce ne sono. In primo luogo sappiamo, che quando fu avvertita dell'accaduto la madre di Cedric Tornay, la signora Muguette Baudat non fu direttamente il Vaticano a contattarla, ma il parroco del paese di residenza. Quando la madre si recò a Roma presso la Santa Sede per vedere il corpo del figlio, qualcuno delle autorità del clero cercò di distoglierla dal farlo.
Il vice caporale Cedric Tornay
Durante il soggiorno in Vaticano, alla signora Muguette fu consegnata una strana lettera di addio, che fu attribuita al figlio, nella quale spiegava le motivazioni del folle gesto; allora se è una lettera di addio con conseguente spiegazione del gesto, risulterebbe un omicidio premeditato e non un violento scatto d'ira. Questa lettera attirò da subito dei forti dubbi e perplessità. La prima cosa che saltò agli occhi della madre, fu una incongruenza di date, alcune di esse infatti non trovavano riscontro con la cronologia degli eventi, questo secondo la signora Baudet era strano, perchè precisava che il figlio era solito essere rigoroso sulle date. Ma la cosa più strana era che la lettera, fu indirizzata alla signora, usando il cognome del secondo marito che era registrato negli archivi del Vaticano, mentre il figlio Cedric non usava  mai quel cognome. Un altro particolare importante è dato da alcuni tabulati telefonici, che testimonierebbero che al momento dell'omicidio Estermann fosse al telefono con qualcuno. Chi? Se esiste, perché non viene mai menzionato?
Prende vita anche, una credibile teoria che farebbe pensare a un depistaggio, per insabbiare un vera esecuzione eseguita da un killer. Durante lo studio del ritrovamento dei cadaveri e dell'arma del delitto, risultò strano e poco probabile che il corpo del vice-caporale dopo essersi sparato in bocca, potesse cadere sopra la pistola; la versione infatti spiega che Cedric dopo avere ucciso il comandante e la moglie, si sia messo in ginocchio con il capo rivolto in avanti e verso il basso, ponendosi la canna della pistola in bocca ed abbia fatto fuoco. Con questa dinamica, l'impatto del proiettile con le ossa del cranio al momento della morte, avrebbe dovuto far cadere il corpo all'indietro verso la traiettoria del proiettile e non in avanti. Anche il numero di colpi sparati che risulterebbe essere di cinque, non è pienamente convincente, dato che due si trovavano nel corpo del comandante, uno nel cadavere della moglie, uno nel corpo di Tornay e l'altro trovato conficcato sul soffitto. Come è possibile? Potrebbe essere stato il colpo del killer per rendere positivo agli esami del guanto di paraffina la mano del presunto omicida Cedric? Possibile che sparando ben cinque colpi senza silenziatore con una Sig Sauer 9 mm nessuno abbia sentito niente?
Complotto, omicidio, giochi di potere o spie, tante di queste supposizioni sono state avanzate, dando vita a molte domande che forse non troveranno mai una risposta perchè, il caso fu risolto come un omicidio suicidio, nonostante ci siano delle forti incongruenze nella versione dei fatti. Questo delitto quindi, rimane un mistero irrisolto all'interno delle austere ed impenetrabili mura vaticane.





giovedì 5 novembre 2015

IL CASO DI FRANCESCO NARDUCCI

Il dottor  Francesco Narducci
Questa è una storia inquietante, misteriosa, segnata da lati oscuri, legata a sua volta ad un'altra storia ancora più inquietante, quella del mostro di Firenze. Questa è una storia di sette sataniche, minacce e depistaggi, che potrebbe aprire la strada ad una nuova tesi sui delitti del mostro, questa è la storia del caso di Francesco Narducci.
E' il 13 ottobre del 1985, sono passate poche settimane dall'ultimo duplice omicidio di Jean-Michel Kraveichlili e Nadine Mauriot avvenuto a Scopeti, quando viene rinvenuto nel lago Trasimeno un corpo. Quel corpo sembra appartenere al dottor Francesco Narducci. Ma chi è il dottor Francesco Narducci?
Il dottor Francesco Narducci ha trentasei anni è un noto medico e professore universitario e fa parte di una delle famiglie più importanti di Perugia. La sua morte viene catalogata come un caso di annegamento accidentale ed il caso viene chiuso. Un attimo, aspettiamo un attimo, da subito avvengono delle cose strane, la salma viene tumulata con rapidità, senza eseguire una regolare autopsia prevista nel caso di un sospetto annegamento e poi girano voci che il cadavere sarebbe stato visto da un pescatore quattro giorni prima il 9 ottobre. Perchè questa discordanza tra le date? Qualcuno aveva il bisogno o la necessità di nascondere qualcosa?
Il medico era uscito di casa dopo avere ricevuto una telefonata il giorno 8 ottobre, si diresse al lago dove prese la sua barca e dopo di che nessuno lo aveva più visto. Alcune testimonianze dicono che nell'ultimo periodo Narducci fosse nervoso e preoccupato, qualcuno addirittura ipotizzava che fosse spaventato.
Possiamo provare a cercare delle risposte se, analizziamo quello che realmente è accaduto.
Il dott. Narducci, sembrava essere coinvolto nei delitti del mostro di Firenze nel ruolo della presunta mente che si celava dietro l'organizzazione che eseguiva gli omicidi. Come è possibile? Tale supposizione, deriverebbe da alcune intercettazioni telefoniche fatte durante le indagini. Le telefonate, che erano a scopo intimidatorio, venivano effettuate da alcuni personaggi nei confronti di una certa Dora, le quali parlavano di " finire come un certo dottore morto affogato nel lago" e "del delitto del Pacciani" uccisi perchè accusati di aver tradito la setta satanica che si rendeva protagonista di quegli orrendi delitti. Durante le indagini, furono recapitate agli inquirenti delle lettere anonime, che facevano riferimento a Narducci come persona coinvolta negli omicidi. Solo nel 2002 fu riesumata la salma, sulla quale durante l'autopsia, il medico legale riscontrò traccie compatibili con lo strangolamento e residui di sostanze narcotizzanti nei tessuti.
Il mistero diventa ancora più denso, quando venne ipotizzato uno scambio di cadavere al momento del ritrovamento del dottore per depistare le indagini.
In base a questa scoperta e a l'ipotesi di una sostituzione del cadavere, fu avviata dalla Procura della Repubblica di Perugia un inchiesta sulla supposizione che lo scambio del corpo era stato organizzato da una loggia massonica, di cui il padre della vittima faceva parte. Non solo, tale loggia aveva come 'ulteriore compito quello di coprire tutta l'attività che si nascondeva dietro il mostro.
La figura di Francesco Narducci era troppo in vista per essere associata agli ambienti sui quali gravitava lo spettro del mostro, per questo venne ipotizzata tale sostituzione.
Il padre di Francesco, successivamente riportò agli inquirenti, che il figlio si sarebbe suicidato perchè avrebbe scoperto di essere stato colpito da una malattia grave e con poche probabilità di guarire. Un altra ombra sul caso, sarebbe la falsa testimonianza della donna di servizio della casa sul lago Trasimeno della famiglia Narducci, la quale conferendo con gli inquirenti, disse che il dottore prima di uscire di casa, avrebbe lasciato un biglietto di addio, quando invece la famiglia fa riferimento ad una lunga lettera scritta e non ad un semplice biglietto. Ma questa lettera dove si trova? E stata fatta sparire? Se si perchè?
Nel 2005, la parte del caso relativa agli imputati accusati di essere i mandanti dell'omicidio del dottor Narducci fu archiviata dal GIP Marina de Robertis su richiesta del PM Giuliano Mignini per insufficienza di prove.
Nel 2009 invece fu archiviata sempre dal GIP Marina de Robertis e sempre per richiesta del PM Giuliano Mignini, la parte inerente alla morte di Narducci, per insufficienza di prove, abbracciando però con convinzione, la tesi delle indagini della procura di Perugia, le quali stabilivano che Francesco Narducci era stato assassinato e che non era morto annegato, che l'omicidio era avvenuto in un luogo diverso da quello del ritrovamento e che solo successivamente il corpo fu gettato nel lago; infine che il cadavere recuperato il 13 ottobre del 1985 non apparteneva al dottore, versione peraltro confermata da relativa perizia tecnica. Inoltre confermò che il dottore di Perugia era realmente coinvolto nel giro dei delitti del mostro di Firenze.
Il GIP quindi accantonò anche l'ipotesi del suicidio, basandosi sulla perizia medico legale che riscontrò effettivamente lesioni da strangolamento.
Un altra parte del processo, che riguardava i vari depistaggi, da parte di istituzioni e familiari per la sostituzione del corpo, intralcio alle indagini e sottrazione di documenti; il GIP riconobbe la prescrizione.
Altri personaggi arricchiscono di ombre questa storia, come Alfredo Brizioli che all'epoca dei fatti era il miglior amico del medico ritrovato cadavere. Alfredo Brizioli secondo l'accusa, avrebbe minacciato la dottoressa Gabriella Carlesi, affinché stilasse una perizia medico legale falsa, al fine di occultare ogni prova, che riconducesse ad un atto delittuoso. Per quale motivo?
Nel 2010 ci fu un colpo di scena, il giudice per le udienze preliminari Paolo Micheli ribaltò la sentenza sia per le cause della morte del dottor Narducci, sia per il coinvolgimento di alcuni imputati tra familiari e appartenenti alle istituzioni che si resero partecipi dei presunti depistaggi e dell'occultamento del cadavere. Per quanto riguarda la vittima, il GUP era convinto che, non vi fu mai l'omicidio e che Narducci si sarebbe tolto la vita e che non vi fu mai la necessità di sottrarre e scambiare il cadavere, teoria sulla quale si basò il proscioglimento di alcuni imputati.
Non è finita, perché nel marzo 2012 il PM Giuliano Mignini fece ricorso contro la sentenza del GUP Micheli e nel marzo 2013 la Terza Sezione della corte di Cassazione accolse il ricorso, annullando così la sentenza del GUP Micheli.
Questa è una storia che, in qualunque modo sia finita, lascia sempre alcune domande in sospeso e come nella buona tradizione dei fatti del mostro di Firenze lascia un velo enigmatico.

lunedì 2 novembre 2015

I SEGRETI DELLA CRIPTA DI GIAN GASTONE

Questo è un caso riguardante delle casse di legno, contenenti otto corpi di bambini di tenera età, ritrovati al momento della riesumazione della salma dell'ultimo granduca di toscana Gian Gastone de Medici. Il 7 luglio 2004 fu scoperta e successivamente aperta la cripta dell'ultimo granduca, all'interno della quale, gli studiosi trovarono oltre che al sarcofago di Gian Gastone, altre casse di legno estremamente danneggiate dal' alluvione di Firenze del 1966 di piccole dimensioni, contenenti i resti di otto bambini sconosciuti.
Gian Gastone de Medici
Le sepolture sembrarono da subito essere di bambini di stirpe granducale per il motivo che i corpi fino alla fine del 1700 si trovavano sia nella sacrestia vecchia, sia in quella nuova che erano destinate alla sepoltura dei principi. Un'altro indizio che fece pensare alla provenienza dei corpi dalla stirpe granducale fu il corredo funebre delle piccole salme che era composto da oggetti e tessuti pregiati.
Ancora una volta la dinastia de Medici ci regala un altro mistero da risolvere; chi sono quei bambini?
Sappiamo che Gian Gastone non aveva figli e che alcuni corpi di bambini della famiglia mancano all'appello, come ad esempio il corpo del piccolo don Filippino, figlio di Francesco I e Giovanna d'Austria. Per riuscire a dare una identità a questi corpi, bisogna partire dalle fonti storiche in nostro possesso,analizzando bene l'albero genealogico.
Il primo granduca di toscana Cosimo I ebbe come figli: Bia che nacque nel 1536 da una relazione avuta prima del matrimonio e che morì all'età di cinque anni. Con la moglie Eleonora di Toledo invece ebbe undici figli: Maria nata nel 1540, la cui sepoltura ad oggi rimane un mistero, Francesco nel 1541, Isabella nel 1542, Giovanni nel 1543, Lucrezia nel 1545, Pedriccio nel 1546, Garzia nel 1547, Antonio nel 1548, Ferdinando 1549, Anna nel 1553 ed infine Pietro nel 1554. Successivamente con Eleonaro degli Albizi nacque Giovanni nel 1567 e da un'altra donna ancora, di nome Camilla Martelli che divenne la seconda moglie dopo la morte di Eleonora di Toledo, nel 1568 nacque Virginia. Da alcuni documenti storici a nostra disposizione, sappiamo che Cosimo I da Eleonora degli Albizi, prima di Giovanni, ebbe un'altra figlia di cui non conosciamo il nome morta però in fasce:
Cosimo I de Medici
" Nel 1565 troviamo Cosimo perdutamente preso d'affetto e di desideri per la giovanissima Leonora degli Albizi, ardente bizzarra legiera. Ne nacque una femmina, la quale visse intorno all'anno (giugno 1566); poi un maschio (13 maggio 1567) che fu chiamato Don Giovanni e legittimato".
Forse uno dei piccoli corpi della cripta appartiene a questa piccola bambina? Sembra che tutto il mistero ruoti al fissare l'esatto numero dei figli di Cosimo I, numero che da sempre è stato fonte di discordie tra storici e studiosi di araldica medicea. Pieraccini ad esempio smentisce l'esistenza di questa bambina, andando contro allo storico e grande studioso delle cronache de Medici Guglielmo Enrico Saltini, scrivendo su un suo testo:
" ...ma di questa piccola e della relativa gravidanza e parto della madre non è stato dato raccogliere alcuna notizia di conferma e dubitiamo fortemente della esattezza del racconto del Saltini".
Esiste un documento risalente al 1670, che aggiunge al granduca un'altro figlio di nome Fagoro del quale non sappiamo praticamente niente, ma che risulterebbe presente in un gran numero di documenti e come se non bastasse raffigurato in una serie di medaglie con le effigi dei componenti della dinastia, realizzata da Antonio Selvi nel 1740.
Ma altri nomi continuano a venire fuori, tanto che in un testo discutibile del 1600 si legge:
" A di 30 luglio 1530 gli nacque un figlio e gli pose il nome Eurinnaco e si morì fanciullo", se così fosse, sarebbe un'altra identità di un corpo della cripta?
Nel 1710 un autore olandese un certo Wilhelm Jacobi Imhoff, redasse un albero genealogico dove il numero dei figli di Cosimo I sarebbe quindici, aggiungendo anche" tres filiae mortuae in infantia" tre figlie morte in tenerissima età; sarebbero quindi altri tre corpi della cripta?
Un documento conservato presso l'Accademia Colombaria di Firenze, sosterebbe che il numero dei figli di Cosimo sia tredici, però in questo caso non vengono mensionati ne Bia ne Fagoro, mentre i figli Antonio, Pietro e Don Giovanni risulterebbero figli di Eleonora degli Albizi.
Documento originale che attesterebbe  la nascita  di Fagoro

In una di queste casse di legno, al suo interno, sono stati ritrovati i resti di un bambino di circa cinque anni, con ancora indosso il suo vestitino, le scarpine e la coroncina che sembravano in discrete condizioni di conservazione. Questi resti si ipotizza che appartengano a Don Filippino, figlio di Francesco I e Giovanna d'Austria. Ad oggi la discendenza diretta del granduca di toscana rimane in parte nell'ombra e la mancanza di alcune sepolture danno vita a ipotesi e domande, che troveranno una risposta solo in un futuro speriamo non molto lontano, attraverso l'operato della scienza con l'esame del DNA. La scoperta della cripta di Gian Gastone quindi, costituisce un enorme passo in avanti nello studio di questa grande ed enigmatica dinastia.


Resti di Gian Gastone de Medici.



Ramo detto dei Popolani

Ramo detto di Cafaggiolo

domenica 25 ottobre 2015

IL MISTERO DELLA MORTE E DELLA SEPOLTURA DI MARIA DE MEDICI

Questa è una storia antica, che affonda le sue radici nel tempo e che attraversa i secoli fino ai giorni nostri. Questa è la storia della misteriosa morte di una ragazza illustre, di diciassette anni e della sua sepoltura, sulla quale ancora oggi si posa un velo di mistero, rendendola una dei personaggi maggiormente interessanti, appartenuti ad una delle dinastie più importanti e potenti della nostra storia: i Medici.
Maria de Medici
Maria de Medici era la prima figlia di Cosimo I granduca di Toscana e di Eleonora di Toledo, nacque il 3 aprile 1540 e fu battezzata all'Opera di Santa Maria del Fiore come "Maria et Lucretia". Sulla breve vita della principessa sappiamo veramente poco, ma sulla sua morte sappiamo che esistono due differenti versioni che fanno sorgere una domanda: omicidio o morte naturale?
In un documento redatto da Francesco Settimanni si può leggere:
"Addì XIX di Novembre 1557. Circa a ore 8 1/2 di notte la Sig.ra Donna Maria primogenita del Duca morì di veleno statole dato per ordine del Padre e privatamente fù sepolta nella chiesa di San Lorenzo"
Queste righe hanno dato vita all'ipotesi di un omicidio che inevitabilmente, ha fatto calare questa storia in un sorta di leggenda, che rafforzerebbe l'alone di mistero che aleggia intorno a questa dinastia, in particolare su Cosimo I. Il granduca infatti avrebbe fatto uccidere sua figlia con il veleno, perchè avvisato da un informatore di corte, su una sua relazione con un paggio figlio del marchese Jacopo Malatesta; difatti i due erano stati visti più volte abbracciati a scambiarsi effusioni nelle stanze delle damigelle. Cosimo I geloso ed infuriato perchè Maria era stata già promessa ad Alfonso d'Este duca di Ferrara, dette l'ordine di somministrare alla figlia il potente veleno, che le avrebbe dato la morte di lì a qualche giorno. Successivamente avrebbe ordinato anche l'omicidio del paggio, che scomparve in brevissimo tempo.
Il luogo della sepoltura di Maria fu, fin dai tempi più antichi oggetto di studio ed indagini da parte di cronisti e storici. Filippo Baldinucci raccolse notizie sui depositi della basilica di San Lorenzo e si accorse di una strana correzione sul documento del ventiseiesimo deposito, il quale riportava la scritta:
"1557 Sig(no)ra Ma" come se qualcuno avesse modificato la dicitura.
Esistono altre fonti che darebbero per sicura la sepoltura di Maria in San Lorenzo, una fra queste è una pagina del "Libro Nero de' morti" degli ufficiali di Grazia, sulla quale compare una scritta con inchiostro nero indicante:
"Signora Maria fiola  dello ill.mo s.re Duca di Firenze rip.a in San L.zo alli 22"  la sepoltura di Maria il 22 di novembre nella basilica di san Lorenzo."
Altro documento quasi certo, è presente nello "Spoglio dei Morti 1501-1600" dell'archivio di San Lorenzo, il quale riporta la dicitura:
"Ill.ma S. Vegna Maria di Messere Cosimo de Medici Duca di Firenze morì adì 19 di 9bre 1557" e dopo qualche riga successivamente:
" 1557 Vegna Maria del Duca Cosimo la primogenita sep.ta quì".
Fino a questo punto dunque, si direbbe che Maria sia sepolta a Firenze in San Lorenzo, ma allora perchè il mistero della sua sepoltura? La domanda è logica, visto che in San Lorenzo non vi è alcuna sepoltura che fa riferimento alla principessa e che ad oggi nelle cappelle dei Principi è assente una tomba destinata a Maria. Il mistero è qui che entra in scena, perchè esiste un'altra versione della morte e della successiva sepoltura della principessa, suffragata dagli scritti dello storico e profondo conoscitore delle fonti della famiglia Medici Guglielmo Enrico Saltini. Lo storico scrive:
" Intanto la corte in quaresima andossene a Pisa e poi in autunno a Livorno... e fu appunto in questa città, in sul cadere dell'ottobre, che la principessa Maria venne sorpresa da una gravissima infermità di febbri, le quali presto si scopersero petecchiali e senza cadere a rimedio alcuno, prima le tolsero miseramente la conoscenza e infine la spensero a' 19 di novembre 1557". Successivamente in un altro passaggio del suo saggio aggiunse:
" Il duca, la duchessa e i fratelli la piansero amaramente... Cosimo in que' giorni della disgrazia, perduta quasi la sua consueta costanza, non sapendo frenare il cocentissimo affanno, si serrava talora, tutto solo, sopra un terrazzo del castello (in Livorno) sfogando con un lungo e disperato pianto la passione del cuore" e per terminare:
" Non si fecero alla principessa Maria solenni esequie, non comportandolo, secondo il cerimoniale d'allora, la sua giovanile età, ne si recò il suo cadavere alla capitale ( Firenze) per deporlo in San Lorenzo; ma venne privatamente sepolta in Livorno nell'oratorio del Castello.".Per Saltini quindi Maria morì e fu sepolta nella città labronica; un'altro studioso che abbracciò questa tesi fu Gaetano Pieraccini, che nella prima pubblicazione del 1924 della sua grande opera "La stirpe de' Medici di Cafaggiolo"
scrisse in maniera sintetica:
"La Maria venne sepolta a Livorno, nell'oratorio del Castello", ma solo nell'edizione successiva del 1947 egli più dettagliatamente riportava:
"La Maria Medici venne sepolta , nell'oratorio del Castello, che dopo molti anni prese il nome di Chiesa di S. Antonio. Sopra la parete della chiesa si trovava una lapide che ricordava Maria e ne segnava la sepoltura; ma nel bombardamento tedesco del 1944 la Chiesa andò distrutta e si è perduta ogni traccia dell'epigrafe e della tomba". Questo è quello che afferma Pieraccini, però è strano, perchè secondo fonti autorevoli già nel 1935 fu deciso di demolire la chiesa di San Antonio e soltanto nel 1942 iniziarono i lavori di demolizione, poi la guerra finì nel radere al suolo la chiesa. Pieraccini nonostante ciò, sempre più convinto della sua tesi, inviò una lettera al canonico Balzini parroco del duomo di Livorno, dove lo invitava a trovare conferme e così avvalorare la sua teoria. Non ci è dato sapere se il canonico Balzini rispose mai a Pieraccini, ma in un documento datato 1773 il quale faceva riferimento a tutte le sepolture livornesi, non comparve mai nessun riferimento al seppellimento di Maria all'interno di San Antonio, nè tanto meno alla sua lapide, smontando così la tesi di Pieraccini. Contro la teoria del Pieraccini ci furono anche altre ricerche, che si risolsero con il mancato ritrovamento di documentazione inerente alla sepoltura di Maria, il che fa pensare, perchè la sepoltura di un personaggio così importante, qualche traccia dovrebbe averla lasciata. Neanche documenti originali del tempo scritti da Andrea Pagni segretario personale di Cosimo I ci svelano il mistero, infatti in due lettere inviate dal segretario il 15 e il 17 novembre 1557 da Firenze a Pisa al diplomatico Bartolomeo Conticini per sapere le condizioni della ragazza, non viene menzionata la località dove si trova la principessa.
Questa è la storia della morte di una ragazza di diciassette anni, il cui personaggio è legato a doppio filo alla dinastia dei Medici e agli enigmi che l'avvolgono, e noi non possiamo fare altro che domandarci cosa realmente sia successo a questa sfortunata principessa.



giovedì 22 ottobre 2015

ELVIRA ORLANDINI

Elvira Orlandini
Questa è una storia piena di lati oscuri, rimasta nell'ombra, quasi dimenticata, ma a quel tempo ebbe una grande risonanza al tal punto di scuotere l'Italia del dopoguerra, accaduta in un luogo dove non ti aspetti, in un piccolo paese della Toscana, dove tutti si conoscono ed il faticoso lavoro nei campi viene scandito dai rintocchi delle campane della piccola chiesa, che segnano il passare delle ore. Una storia dove piano piano, fanno il loro ingresso personaggi, i quali magari sono stati lasciati un pò in penombra. E' il  5 giugno del 1947, la guerra è da poco finita, si parla ancora delle scorribande del bandito Salvatore Giuliano e a Roma si lavora sulla costituzione italiana, ma nel paese di Toiano è un giorno come tutti gli altri. Sono le due del pomeriggio, i contadini sono nei campi e le donne sono in casa a fare i lavori domestici. Nel paese ci sono i preparativi per la festa del Corpus Domini. Una ragazza di ventidue anni, mora e formosa, considerata la più bella del paese, di nome Elvira Orlandini figlia di Antonio e Rosaria, dopo avere rigovernato, esce di casa con una brocca in mano avvisando la madre che sarebbe andata a prendere l'acqua alla fonte, distante da casa circa cinquecento metri. Lungo il tragitto Elvira incontra una sua amica, Iva Pucci, alla quale chiede se fosse andata con lei a prendere l'acqua, ma Iva le risponde che lei l'acqua ce l'ha già. Elvira salutata la donna continua a camminare verso la fonte e arrivata inizia a riempire la brocca.

Passate circa due ore e non vedendola arrivare, mamma Rosaria impensierita, comincia ad incamminarsi verso la direzione della figlia, chiedendo a chiunque incontra lungo la strada se avevano visto la sua Elvira. Spaventata e con il panico che cresce, Rosaria torna indietro verso casa a chiamare il marito Antonio, il quale allertato dalla moglie lascia il lavoro nel campo ed insieme al cognato Giovanni si precipita verso la fonte.
Arrivati sul posto, i due uomini in particolare Antonio, notano una chiazza di sangue e tracce di trascinamento, che dalla fonte vanno giù verso il fitto bosco, come se qualcuno avesse trascinato qualcosa di pesante spezzando i piccoli rami della boscaglia. La zona si chiama Botro della Lupa ed è caratterizzato proprio da questo fitto bosco che parte dalla fonte e si allarga scendendo verso valle. Antonio si addentra nella boscaglia seguito da Giovanni che rimane a una decina di metri di distanza. Ad un tratto Antonio nota a terra le ciabatte di Elvira, messe in ordine una sopra l'altra accanto alla brocca. Continuando a camminare per circa venti  metri dove il bosco diventa sempre più fitto, scorge quello che gli occhi di un padre non vorrebbero mai vedere; il corpo privo di vita della figlia. Elvira giace su un fianco sopra una grande pozza di sangue che ricopre il sottobosco, con la gola tagliata quasi da un orecchio all'altro.
Antonio pur rendendosi conto che la figlia era morta, la afferra per il busto e la trascina insieme a Giovanni quasi fino alla fonte. Nel frattempo due ragazzi che passano di li in bicicletta, vedono quello che sta succedendo e prestano il loro aiuto. Vengono allertati subito i carabinieri del posto.

Scoccano le cinque, la processione del Corpus Domini termina e tutti cominciano ad incamminarsi verso il luogo del ritrovamento del corpo, anche lo stesso prete, riposto tutto il materiale per la funzione segue la stessa direzione.
Verso le sei, arriva dal comando dei carabinieri di Palaia il maresciallo Leonardi, che da quel momento prende in mano le redini dell'indagine. Da subito il maresciallo ha dei sospetti nei confronti del fidanzato di Elvira, Ugo Ancillotti. Ma chi è Ugo Ancillotti? Ugo Ancillotti è un reduce dalla Germania, ex soldato che finita la guerra, si era messo a fare il contadino. Considerato da tutti un uomo senza grilli per la testa, con un carattere tranquillo, avrebbe dovuto sposare di li a poco Elvira. Ma allora perchè uccidere in quel modo la fidanzata non che futura moglie? Il maresciallo Leonardi comincia a indagare sul rapporto della coppia prima dell'omicidio, avvalendosi oltre che delle prove indiziare di alcune macchie di sangue umano trovate sui suoi pantaloni, l'alibi poco credibile dell'orario dell'omicidio in cui Ugo dice di essere stato a casa a dormire e provato solo da i suoi genitori e quindi non attendibile; anche delle inevitabili voci di paese, le quali si sa arrivano all'orecchio e alla svelta. Si dice che Ugo sia molto geloso e che i due per questo motivo litigassero spesso. Un paio di volte si erano restituiti le loro cose, come se si dovessero lasciare, ma poi tutto tornava come prima. Si dice che Elvira andasse frequentemente da sola ad aiutare il cognato Luigi Giubbolini alla baracca. Si vocifera anche su una presunta discussione per un anello di fidanzamento, comprato da Ancillotti a Pontedera e che non fosse stato di gradimento ad Elvira. Il maresciallo Leonardi è convinto che l'omicidio sia il frutto di una discussione andata oltre le righe e che a sgozzare Elvira sia stato proprio lui, il fidanzato. Dopo appena quattro giorni dall'omicidio Ugo Ancillotti viene arrestato e condotto in carcere in attesa di processo, il quale inizia a marzo del 1948 presso il tribunale di Pisa, seguito da tutta l'Italia divisa tra innocentisti e colpevolisti.

La gente del paese 

Nel frattempo nel paese di Toiano tutti i suoi compaesani sono con lui e lo sostengono con grandi cartelloni scritti a mano situati nella piazza del paese. Si proprio così, in tanti sono convinti dell'innocenza di Ugo, anche perchè elementi in sua difesa ce ne sono e non sono pochi. Partiamo dal ritrovamento delle impronte sul luogo del delitto, che erano più piccole di quelle dell'imputato. La questione delle ciabatte di Elvira, che erano messe a terra in maniera ordinata accanto alla brocca d'acqua, il che fà pensare che la vittima conoscesse l'assassino e che l'avrebbe seguito volontariamente all'interno del bosco. La mattina del 5 giugno, giorno dell'omicidio, Elvira e Ugo erano insieme a messa e dopo lui l'ha riportata a casa verso le 13:30. Come avrebbe fatto in circa un'ora Ugo a lasciare Elvira, andare a casa, mangiare e tornare giù alla fonte per aspettare la vittima? Potrebbe essere veramente l' assassino? Fermiamoci un attimo, c'è da aggiungere una cosa, un particolare che rende questa storia ancora più intrigata e misteriosa. Elvira per aiutare la sua famiglia andava a servizio da alcuni nobili svizzeri, potenti e conosciuti, che avevano una villa a Toiano e dove vi trascorrevano alcuni mesi dell'anno, la famiglia Salt. Il signor Salt aveva un figlio dell'età di Elvira il quale aveva messo gli occhi sulla ragazza e non si era fatto scrupoli a corteggiarla. Di questo figlio non abbiamo notizie, strano? Eppure le voci confermano che le attenzioni e i corteggiamenti c'erano e anche palesi. Girano voci di paese, quelle che arrivano all'orecchio e alla svelta, quelle che magari dicono che è meglio lasciar stare i Salt in particolare il figlio del signor Salt, perchè non si sà mai quello che può succedere a parlare di gente come loro; però qualcuno sà. Qualcuno sà di una lettera anonima recapitata a Ugo Ancilotti la quale lo redarguiva da sposare Elvira perchè era meglio così. Strano? Girava voce che Elvira fosse anche sfruttata dalla sua famiglia e considerata un pò come la sguattera tutto fare.

Il processo nei confronti di Ancillotti continua e viene fatto persino un altro sopralluogo in presenza dello stesso imputato con le manette ai polsi il quale richiama centinaia di persone sul posto.
Dopo alcune udienze, di cui una sospesa per paura dell'incolumità dello stesso imputato, il processo finisce e Ancillotti viene rinviato a giudizio. Il secondo processo invece viene svolto presso la corte d'Assise di Firenze, nel quale il 21 luglio 1949  Ugo Ancilotti viene assolto per insufficienza di prove

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Ugo Ancillotti con la madre dopo l'assoluzione

Oggi di quella brutta, triste e misteriosa storia rimane solo il lontano ricordo. I nostri personaggi sono tutti deceduti, anche Ugo morto di recente a novantuno anni non c'è più. Toiano stesso per qualche strano scherzo del destino è morto, è ridotto ad essere un paese fantasma, quasi come volesse calare il sipario sulla verità. Di questa brutta storia rimane solo la villa della famiglia Salt, che nel corso degli anni ha cambiato proprietari e sembra essere una silenziosa custode del tempo e della verità; e quando capita di osservarla al di fuori del grande cancello ci si domandi che cosa sia veramente successo a quella ragazza di ventidue anni.