venerdì 25 marzo 2016

IL MISTERO DELLA MORTE DI CANGRANDE DELLA SCALA: VELENO O MORTE NATURALE

Cangrande della Scala
Questa è una storia di un probabile delitto, avvenuto all'incirca settecento anni fa, che è ancora avvolto nel mistero e che ha come protagonista uno dei più grandi condottieri del XIV secolo, vale a dire Cangrande della Scala. Can Francesco della Scala nacque a Verona il 9 marzo del 1291 terzogenito del signore della città Alberto I della Scala e della moglie Verde di Salizzole, fin da piccolo fu attratto dal mestiere delle armi, seguito dagli attenti occhi del padre che purtroppo morì nel 1301 quando Francesco era ancora bambino, successivamente fu affidato al fratello maggiore Bartolomeo; anche quest'ultimo morì prematuramente nel 1304 e così il futuro condottiero fu affidato al secondogenito Albonio, persona di grande saggezza e dedito più alla diplomazia che all'arte della guerra. Nel 1308 Cangrande divenne il comandante generale dell'esercito di Verona e da questo punto in poi ci fu solo una inarrestabile ascesa, non solo dal punto di vista del comando militare ma anche da signore di Verona in reggenza condivisa con il fratello maggiore tanto che fu anche mecenate dell'amico
Dante Alighieri. Partecipò a molte battaglie contro altre città da Parma a Padova, da Brescia a Genova, da Modena a Mantova e così come altre, fu un condottiero forte e vigoroso di grande carisma vincente sul campo di battaglia. Può un uomo così trovare la morte in circostanze misteriose?
La storia ufficiale parla della sua morte avvenuta il 22 luglio 1329 come causata da eventi naturali, si dice che in quella estate e precisamente il 19 luglio dopo essere entrato trionfante a Treviso e dopo una lunga e faticosa cavalcata si fermò nei pressi della fonte di Santi Quaranta per dissetarsi, dove contrasse forse da quell'acqua la dissenteria. Ma è possibile che un condottiero e signore come lui potesse incautamente bere da una fonte senza essere sicuro della natura dell'acqua? Già le cronache dell'epoca riportavano il fatto alquanto strano, ossia che un uomo in perfetta salute come lui potesse morire così in poco tempo per aver bevuto dell'acqua forse malsana, ed infatti cominciarono a echeggiare voci su un probabile avvelenamento.
I resti del condottiero
Nel 2004 il corpo del condottiero fu riesumato e su esso furono svolti degli esami approfonditi come TAC e radiografia digitale dall'istituto di patologia dell'università di Pisa, guidati dal professor Gino Fornaciari che hanno portato alla scoperta di un grande quantitativo nei tessuti di Digitalis Purpurea, una pianta che ha delle qualità per curare malattie cardiache, ma se presa in quantità eccessive può risultare altamente velenosa e addirittura mortale. Dose sbagliata o avvelenamento volontario? Successivamente uno studio palinologico condotto dalla dott.ssa Silvia Marvelli ed il dott. Marco Marchesini del laboratorio di palinologia di San Giovanni in Persiceto, fece rinvenire nei resti dell'intestino una grande quantità di polline di camomilla e gelso nero, mescolati proprio a resti di digitalis; deducendo quindi che durante i suoi ultimi tre giorni di vita e di agonia caratterizzati da febbre alta, vomito e diarrea, qualcuno gli avesse somministrato un infuso di camomilla mescolato con la potente miscela mortale. Qualcuno poteva meditare di togliere di mezzo un potente come Cangrande? Stando quindi agli esami della nostra era altamente tecnologica, sembra prendere piede la teoria dell'avvelenamento; anche perché è presente un piccolo particolare: nel XIV secolo non si sapeva che la Digitalis Purpurea aveva delle proprietà curative, mentre era noto che la pianta era un potente veleno, quindi seguendo la logica qualcuno poteva aver preparato un infuso o una miscela per avvelenare premeditatamente e volontariamente il condottiero.
Digitalis Purpurea
Da precisare è il fatto che Cangrande stava espandendo i suoi territori ed il suo già grande potere, quindi molti stati limitrofi temendo di essere conquistati e vedendo di cattivo occhio il condottiero, potrebbero aver architettato l'omicidio magari con alleanze segrete. Lo stesso nipote di Francesco, Mastino che gli successe sul trono di Verona dopo la morte, fu additato come possibile mandante, perché bramoso di conquistare il potere dello zio. Un altro protagonista di questa storia secondo le cronache del tempo, fu incolpato di far parte del complotto per eliminare il signore di Verona: il medico personale. Si dice che dopo la morte del condottiero sia stato incolpato, processato e giustiziato per aver tramato contro ed avvelenato Cangrande.
Ad oggi quindi sembrerebbe che il giallo che avvolge questa vicenda sia stato svelato, ma come tutte le storie accompagnate da un alone di mistero, talvolta ci piace che esse rimangano tali, che continuino a attrarre proprio perché alimentino l'immaginario collettivo, considerandole come storie di altri tempi e che contribuiscano a tenere vivo nel corso dei secoli il mito di certi personaggi.
Spada del condottiero
Monumento equestre  di Cangrande della Scala

martedì 19 gennaio 2016

IL MISTERO DI GISELLA ORRU'

Gisella Orrù
Questo è un omicidio che a distanza di ventisette anni non ha trovato ne un colpevole certo, ne risposte a causa dei numerosi tentativi di depistaggio, un omicidio ancora oggi avvolto nel mistero che è custodito in una terra bellissima: la Sardegna.
Siamo a Carbonia, è il 28 giugno 1989 quando verso mezzanotte una signora anziana aspetta sul terrazzo di casa ansiosa ed angosciata il rientro di sua nipote di sedici anni, che stranamente è in ritardo. Quella donna si chiama Luigina soprannominata Gina e le sue nipoti abitano con lei. Luigina sta aspettando Gisella la nipote più piccola, che è una ragazza per bene, seria e che non si trattiene mai fino a tardi fuori di casa. Ad un tratto la Gina vede i fari di un auto che si sta avvicinando, è il vicino di casa Salvatore Pirosu che sta rientrando. I due si conoscono bene, oltre che essere vicini sono anche amici, Luigina chiede a Salvatore se ha visto la nipote Gisella, ma l'uomo le risponde di no. Salvatore vedendo la signora molto preoccupata, si offre volontario per andarla a cercare entrambi con la propria auto. I due cominciano a girare e cercare la ragazza, recandosi anche a casa del figlio di Luigina ovvero il padre di Gisella, chiedendo se la ragazza si fosse fatta vedere, ma anche lui non l'ha vista. Il giorno seguente la nonna di Gisella riceve una strana telefonata, effettuata da una donna la quale dice a Luigina che Gisella avrebbe passato le vacanze con lei e la propria famiglia.
E' il 13 luglio, sono trascorsi 10 giorni dalla scomparsa della ragazza e nessuno sembra sapere niente, la famiglia sta vivendo momenti di terrore, quando alla caserma dei carabinieri di Carbonia arriva un'altra telefonata. La voce di chi parla è femminile e dice dove poter trovare il cadavere della povera ragazza; in località San Giovanni Suergiù c'è un pozzo e lì sul fondo giace il corpo nudo della giovane.
Operazioni di recupero del corpo di Gisella
Immediatamente i carabinieri raggiungono il luogo indicato, ma la scarsa quantità di luce impedisce di vedere il fondo. Decidono quindi di far intervenire la squadra dei sommozzatori, che si cala nelle profondità del pozzo e dopo poco recuperano un corpo femminile nudo, in parte decomposto. Successivamente un orologio ed una catenina d'oro ritrovate sul cadavere, aiutano ad identificare la vittima: Gisella Orrù
La voce anonima della telefonata aveva ragione.
Ma chi poteva sapere? Chi era?
Dopo un esame tecnico il cadavere presenta delle ferite profonde alla testa, provocate probabilmente con uno strumento tagliente e lungo, inoltre la ragazza avrebbe subito violenza sessuale. Scattano immediatamente le indagini per omicidio.
Un testimone sentito dagli inquirenti, fa riferimento ad una coppia di persone, un uomo e una donna che a bordo di una vespa bianca si fermano nei pressi del pozzo a guardare con insistenza sul fondo.
Chi indaga, cerca di far luce sulla vita di Gisella seguendo ogni genere di pista. Si dice in giro che la ragazza avesse cominciato a praticare gente poco raccomandabile, invischiata in un giro di sesso, prostituzione minorile e droga, voci peraltro confermate da lettere anonime recapitate agli stessi inquirenti. Poteva in qualche modo Gisella essere finita nel perverso meccanismo e esserne rimasta vittima?
Le indagini volte a seguire ogni tipo di direzione, vengono indirizzate in una in particolare, grazie all'ennesima telefonata anonima eseguita sempre da una donna, la quale riferisce che il giorno della scomparsa Gisella è stata vista salire su una auto, una fiat 126 bianca. Gli inquirenti esaminano tutte le auto dello stesso tipo della zona e si accorgono che una auto del genere la possiede anche Salvatore Pirosu, vicino di casa della signora Luigina nonna della ragazza. Gina spiega agli investigatori che le sue due nipoti avevano una grande confidenza con Pirosu., tanto da chiamarlo zio Tore. Ma chi è veramente Salvatore Pirosu? Salvatore è un uomo di quarant'anni che vive con la madre, per mantenersi svolge qualche lavoretto, ma i soldi arrivano più che altro dalla madre. Ha un vizio: le prostitute. Gli investigatori scavando nel suo passato scoprono che nel 1969 Pirosu è stato condannato per una aggressione con lesioni ad una prostituta. Salvatore quindi viene ascoltato dai carabinieri i quali accorgendosi dell'insicurezza dell'uomo su un suo possibile alibi, lo portano in una condizione critica e lo fanno crollare; Pirosu confessa l'omicidio di Gisella. Salvatore però precisa di non essere l'esecutore materiale del delitto, ma di essere stato in compagnia del vero assassino: Licurgo Floris.
Il pozzo
L'uomo comincia a raccontare quello che secondo la sua versione è successo: la sera del 28 giugno lui e Floris sono nella 126 insieme e avvicinano Gisella Orru, Pirosu convince la ragazza a salire sull'auto con loro. Dopo di che si dirigono verso il luogo dove Floris ha parcheggiato la sua macchina rossa, sul posto ci sono anche una ragazza di circa vent'anni che conosce Gisella, di nome Gianna Pau che fa la prostituta e un ragazzo tossicodipendente di nome Gianpaolo Pintus. Tutti insieme raggiungono un boschetto poco distante dal mare, dove parcheggiate le auto Gisella, Floris e Pintus scendono da quella rossa e si addentrano a piedi nel bosco, per consumare dei rapporti sessuali in tre, mentre Pirosu e la Pau rimangono a bordo della 126. Ad un tratto Salvatore vede uscire dalla vegetazione Gisella che corre nuda, urlando inseguita dai due uomini, per poi rientrare da un altro lato del bosco sempre inseguita. Dopo qualche minuto Licurgo esce dalla macchia dirigendosi verso la 126 di Salvatore, dicendogli di averla combinata grossa, gli dice che in un momento di buio mentale ha colpito e ucciso la povera ragazza e che ora bisognava far sparire il corpo. A quel punto Pirosu e Floris avvolgono il cadavere in una coperta e lo caricano sull'auto rossa, dirigendosi in aperta campagna, arrivando fino in località San Giovanni Suergiù dove avrebbero gettato il corpo nel pozzo. Gli inquirenti eliminano dal registro degli indagati Pintus e la Pau, mentre arrestano Pirosu reo confesso e Floris. Dopo il processo svolto in tutti i tre gradi di giudizio, gli imputati vengono dichiarati colpevoli e condannati rispettivamente a ventiquattro anni il primo e trenta anni il secondo. Ma una ragazza seria come Gisella come avrebbe potuto andare a consumare un rapporto sessuale a tre con dei perfetti sconosciuti? Come poteva frequentare prostitute e tossicodipendenti? Sono domande che tutt'oggi non hanno risposta. Licurgo Floris che di questo omicidio si è sempre detto innocente e che ha sempre dichiarato fortemente di essere stato messo di mezzo, nel 2007 si suicida in carcere impiccandosi nella sua cella; sembra infatti che Pirosu avesse dei rancori verso Licurgo per dei vecchi attriti tra i due. Ma un altro fatto raccapricciante e che lascia molti lati oscuri su questo delitto è la scomparsa di Salvatore Pirosu, difatti dopo poco la sua scarcerazione avvenuta nel 2008 è scomparso nel nulla. Forse unico custode dei segreti che riguardano la morte di Gisella Orrù è stato fatto sparire da qualcuno che sa veramente quello che è successo? Non lo sapremo mai, intanto il resto dei personaggi di questa vicenda come Pintus e la Pau sono morti, mentre la famiglia di Gisella si è trasferita su nel nord Italia aspettando una verità che forse non sarà mai svelata.